Spazio Diamante

ION

compagnia Collettivo I.T.A.C.A.

ION

Drammaturgia e Regia Dino Lopardo

con Alfredo Giovanni Tortorelli, Andrea Tosi
Assistente di scena e costumi Iole Franco

Due fratelli. Un luogo, tanti luoghi. Paolo, è stato fin da bambino molto legato al padre; al contrario Giovanni ha sempre avuto un rapporto privilegiato con la madre. Una madre osservata con occhi  differenti dai due: Giovanni la ricorda premurosa, mentre Paolo come la “grassa” del paese! Paolo fin da bambino ascolta il padre parlare della madre come un peso, una palla al piede e di Giovanni come il figlio mai voluto. Giovanni vive sulla sua pelle il non essere accettato come figlio e tacciato dal padre stesso come diverso. Un padre “Padrone”, anaffettivo, chiuso nelle sue convinzioni che non accetterà mai la diversità di suo figlio neanche davanti alla morte.

La Sindrome di Diogene

Associazione Culturale Officina

La Sindrome di Diogene

di Sandro Cappelletto, Cecilia d’Amico
musiche di Matteo d’Amico

con Cecilia d’Amico, Giovanni Maria Briganti
scenografia Laura Giusti

Regia Giovanni Maria Briganti

La Sindrome di Diogene affronta uno dei temi più urgenti e problematici del giorno d’oggi, il tema dei rifiuti. Partendo da un fatto di cronaca e da una sindrome clinicamente riconosciuta, il testo scandaglia l’animo umano in rapporto al rifiuto, inteso come problematica ambientale, seria e minacciosa e come rifiuto della società, emarginazione sociale e chiusura ai sentimenti. Due attori in scena e una scenografia che rappresenta la casa del Professore: una mole di rifiuti in cui i personaggi dovranno trovare il proprio spazio, attraverso il quale sapranno raccontare i rispettivi mondi.

Il volto pallido del silenzio

Compagnia dei girovaghi

Il volto pallido del silenzio

con Melania Maria Codella, Nicole Mastroianni, Francesco Iorio, Luca di Pierno, Stefano Annunziato

Testo e Regia di Matteo Bergamo

Un violino suona malinconico. Una donna guarda fuori dalla finestra, immobile.
A fare da sfondo ad un ambiente casalingo chiuso, asettico e asfissiante, c’è la vecchiaia, incarnata nella figura di una madre silente che nulla dice, ma tutto cancella.
Il testo, in chiave simbolica, porta in scena i problemi di una famiglia piccolo borghese, accomodata nel presente incerto di un padre senza lavoro, privo di obiettivi; una realtà da cui due fratelli, diversi tra loro, ma entrambi giovani e bisognosi di vita, vogliono fuggire.
Il ricordo del passato, fatto di rimorsi e occasioni perdute e il fantasma di un futuro troppo lontano, sono i temi centrali di un’opera senza presente.
Il silenzio che intrattiene la famiglia nella sua quotidianità è spezzato solo da frequenti lamenti, soliloqui inascoltati e rumori che, avvolti nel vuoto, trovano il loro peso d’essere.
Può bastare la speranza di una vita possibile a smuovere un’inettitudine piccolo borghese?
Oppure è la stessa speranza, la causa di una comoda immutabilità?

 

 

LE NOTTI BIANCHE

compagnia PianoinBilico

Le notti bianche

di Lìvia Castiglioni, Dario Merlini

musiche di Gipo Gurrado

con Silvia Giulia Mendola, Paolo Garghentino

Coreografia Lara Guidetti
Regia Silvia Giulia Mendola, Paolo Garghentino

Un uomo e una donna. Che si incontrano. Un notturno cittadino. Un paesaggio urbano, chiaroscurale e che risuona qua e là di rumori e passi. Una collisione fortuita di due anime erranti per i vicoli di una città senza nome. Una città che non è né San Pietroburgo come nel romanzo originale, né Livorno come nel noto film di Visconti. Un non luogo del destino. In questo gomitolo di strade che si snodano e si intrecciano tra palazzi e luci al neon, i due protagonisti camminano come equilibristi sul filo del loro incontro. Scambiandosi e raccontandosi le loro storie per quattro notti.

Mi manca Van Gogh

compagnia Francesca Astrei 

Mi manca Van Gogh

Regia, Drammaturgia, Interprete Francesca Astrei

Una storia vera, accaduta meno di due anni fa. Storia che, sotto forme e contesti diversi, continua a ripetersi. Una storia di fragilità e urgenza, raccontata dal punto di vista di chi vorrebbe intervenire, ma si sente piccolo e impotente.
La protagonista ripercorre passo dopo passo il cambiamento radicale avvenuto nella sua vita e in quella di Michela, la sua migliore amica, vittima di ricatti da parte dell’ex fidanzato, creando un quadro narrativo dai tratti nitidi, un immaginario dalle pennellate nette e dense, che sembrano appena uscite dal tubetto di colore, proprio come nei quadri di Van Gogh.

 

MNEMOSINE

compagnia EXODOS

MNEMOSINE

di Doron Cochavi, Luigi Saravo

Con Cristian Giammarini, Daniele Santoro, Doron Cochavi, Claudia Vegliante, Chiara Felici, Beatrice Olga Valeri ,

Regia Luigi Saravo

MNEMOSINE è uno spettacolo sul tema della perdita e del lutto che utilizza la Shoah come nucleo generativo.

Il lavoro è partito dall’incontro tra me, Luigi Saravo, regista italiano, e Doron Kochavi, attore e fotografo isrlaeliano.

Trovandoci a lavorare insieme su un progetto legato ai rifugiati chiamato Exodos, abbiamo cominciato a condividere idee e suggestioni sul tema della Shoah. Abbiamo indagato i ricordi della nonna di Doron, ebrea polacca, sopravvissuta ad Auschwitz tuttora viva e residente in Israele e alcune memorie infantili che mi riguardano attinenti al tema della perdita e del lutto.

Il nostro obiettivo è stato di costruire un percorso a partire dai meccanismi fisiologici della memoria mettendoli in relazione al concetto del lutto e alla sua elaborazione utilizzando come contesto narrativo la Shoah.

La storia su cui si centra la scrittura dello spettacolo riguarda una famiglia di quattro persone, padre, madre, figlio maggiore, figlia minore, nella quale il figlio maggiore scompare nel gorgo nazista.

Da qui la famiglia si trova a dover elaborare questa perdita all’interno di una dimensione di trauma che rende difficile comunicare alla sorella minore, al tempo della scomparsa ancora piccolissima, del fratello scomparso.

Nei nostri percorsi esplorativi ci è più volte capitato di imbatterci in racconti che fanno capo a un grande non detto all’interno delle famiglie ebraiche. Senza addentrarci nei complessi meccanismi sociologici e psicologici dell’elaborazione di una tragedia collettiva come la Shoah abbiamo voluto concentrarci su questi casi e su come abbiano risposto alle condizioni che si erano andate a creare.

 

Il linguaggio di cui lo spettacolo si compone è essenzialmente visivo e si snoda attraverso una serie di quadri collegati tra loro da nessi narrativi. Nel lavoro ci siamo chiesti quale taglio dare alla nostra narrazione. Se seguire un percorso narrativo lineare che potesse essenzialmente dar conto dei fatti o se dare forma al modo in cui i meccanismi della memoria funzionano. Abbiamo scelto di seguire questa seconda strada e ci siamo trovati in un contesto compositivo dove il passato e il presente dialogano costantemente tra loro, dove i sentimenti del momento modificano le sensazioni e le strutture d’immagini del passato e dove, quindi, la memoria si costituisce come un processo plastico, profondamente radicato nel linguaggio simbolico.

È a questo linguaggio che abbiamo dato forma, mirando, quindi, ad un coinvolgimento più intuitivo e associativo dello spettatore.

D’altronde l’utilizzo di immagini sceniche capaci di reclutare un approccio intuitivo ed empatico nel fruitore, lo spogliare i riferimenti del loro realismo storico, la costruzione di uno spazio rappresentativo astratto abitato da corpi, situazioni ed oggetti quotidiani, si sono rivelati elementi centrali nella nostra ricerca, già nel precedente progetto Exodos e quindi supponiamo che il nostro approccio nasca da un’attitudine a esplorare il reale a partire da una storia psichica anziché cronachistica.

Abbiamo infine compreso che il rapporto con la memoria come esperienza umana fondamentale sia essenzialmente il rapporto con la perdita, con ciò che non è più o non si presenta più nella medesima forma. E che questo rapporto sia il nucleo essenziale della percezione del reale. Se, quindi, nel nostro cervello i ricordi possono essere modificati, perduti, resi opachi da nuove esperienze e costruzioni mentali e se allo stesso modo i luoghi fisici e la loro storia possono subire la medesima mutazione e, infine, se questa dinamica si riconnette costantemente con il momento presente, è possibile dire che la mutazione del reale, del suo senso e della sua interpretazione è costantemente in evoluzione.

Questa questione apre anche, però, la possibilità di manipolare la percezione del reale per creare nuovi collegamenti tra eventi storici e realtà interiore soggettiva sollevando scenari di grande complessità.

 

Supponiamo quindi che il nostro lavoro sia un inizio di percorso nell’indagine di questa complessità e nella ricerca di un linguaggio capace di darne conto in termini scenici.

 

 

 

 

Nella Rete

Magnitudo Nove  

Nella Rete

di e con Natalia Magni

L’adolescente Alice manda al fidanzato alcune proprie foto provocanti; le immagini finiscono però condivise nelle chat, nei social, in rete.

Alice è una ragazzina come tante. Spensierata, adolescente, digitale, innamorata. Una vita tra scuola e amici, socialità, profili e condivisione. Quando il fidanzato le chiede delle foto provocanti accetta, sicura che rimarranno chiuse nel privato di quel solo telefonino. Le immagini finiscono invece nelle chat, nei social, nella rete. Alice si ritrova in un incubo, incapace di gestirlo, pronta ad annullarsi pur di uscire dalle maglie della rete nella quale è rimasta intrappolata.

Petra è una madre come tante. Attenta, social, impegnata, fiduciosa. Una vita tra famiglia e lavoro, socialità, profili e condivisione. Quando vede la figlia Alice cambiare, non si preoccupa, convinta che si tratti della classica fase adolescenziale. L’entità del problema la troverà impreparata, ma non esiterà a stendere insieme alla sua famiglia una rete di protezione e affetto per salvare la figlia.

“Nella rete” è una storia d’amore e disattenzione: amore perso e ricomposto, per il quale siamo disposti a qualsiasi cosa, a qualsiasi età, perfino a sacrificarci; disattenzione che può diventare fatale e portarci al punto di non ritorno.

La stesura del testo ha ricevuto il contributo dell’Arma dei Carabinieri -Reparto Analisi Criminologiche.
Si ringraziano il Tenente Colonnello RT Anna Bonifazi -Comandante della Sezione Psicologia Investigativa- e il Maresciallo Capo Maurizio Inangeri

Non so nemmeno se sono felice

Daf –Teatro dell’Esatta Fantasia

“Non so nemmeno se sono felice” Dalla vita e dai i racconti di Irène Némirovsky

con Paola De Crescenzo, Aura Ghezzi, Roberta Infantino, Carla Recupero

Costumi Lucia Mariani
Luci Marco Laudando
Scene Valeria Mangiò
Assistente alla regia Michele Castelli Gattinara

Regia Luca De Bei

Anni ’30. La scrittrice Irène Némirovsky vive ormai a Parigi da alcuni anni, è diventata famosa grazie al suo romanzo “David Golder”, è felicemente sposata e madre di due bambine. Irène vive del suo lavoro, si interroga sull’alchimia della scrittura e sulla difficoltà di tradurre in linguaggio artistico le sfumature e i colori della vita. Sulla scena prendono corpo i suoi personaggi, tutti al femminile, con frammenti delle loro storie: una donna che vuole separarsi dal marito ma non riesce a lasciarlo, una ragazza ricca e viziata che vuole fuggire da una famiglia soffocante, una prostituta che si illude di trovare una soluzione al fallimento della sua vita, una “cocotte” che ritrova una figlia data a balia da bambina la quale vorrebbe seguire le orme della madre. Le storie di queste donne con i loro drammi si intersecano con la storia di quegli anni e con il vissuto di Irène: all’orizzonte si profila il pericolo di una nuova guerra e prendono forma le contraddizioni di una donna e di una scrittrice che si trova a dover affrontare l’ondata di antisemitismo che si abbatte sull’Europa e che inizia a creare problemi anche ad una intellettuale celebre come lei. Mentre continua a scrivere e a dar vita ai suoi personaggi, Irène è costretta a interrogarsi sul destino che l’attende e che, inesorabile, si compirà.

 

 

 

 

 

 

 

O

compagnia Lost Movement

O

Coreografia Nicolò Abbattista
Drammaturgia Christian Consalvo

con Samuele Arisci e Salvatore Sciancalepore

O racconta una storia d’amore, come tutte, come nessuna. Due uomini che si avvicinano e si allontanano, sviluppando una relazione che cresce attraverso gioco, erotismo, aggressività. Scoprirsi e abbandonarsi all’altro diventano le coordinate per trovare un baricentro comune fino a quando sulle note di un cha cha frenetico, si scontrano con l’incapacità di comprendersi, o più semplicemente con l’egoismo che ci rende tutti individui. Il sistema e la relazione si trasformano. E infine ci si ritrova vicini, in un lento abbraccio, i cui contorni sono però nettamente ridefiniti.

PerTerra

compagnia F E M A L E 

PerTerra

di Giulia Malavasi

con Giulia Felci, Marilia Valenza, Michela Malavasi, Giulia Malavasi, Rosa Didonna, Giorgia De Andreis, Domizia D’amico

Regia Giulia Felci

“Cosa si deve fare per essere puri? Non basta essere umani?.. Non basta”

C’è posto per la pietà in una collettività sempre più abituata all’odio e schiava del pregiudizio?

PerTerra riflette su questa tematica attraverso un viaggio simbolico tra un arcipelago di donne, incarnazioni di tutte le sfaccettature dell’umano: Isole lontane e diverse tra loro, nello spazio vuoto e disumanizzato di una realtà distopica ma possibile.

PerTerra È una storia di umanità senza umanità. E’ una madre che piange alla ricerca di una figlia perduta come madre terra piange la perdita dell’umanità dei suoi figli.