Spazio Diamante

Fahrenheit 2577

Compagnia DoveComeQuando

Presenta
Fahrenheit 2577

Di Pietro Dattola
Regia Pietro Dattola

Con Flavia Germana de Lipsis, Andrea Onori

Sinossi
Martina è una giornalista tarpata dall’algoritmo del SEO. Filippo, detto Tuttocittà perché conosce la mappa di Roma a memoria, è il presidente del club Fahrenheit 2577, il cui nome s’ispira al punto di fusione del silicio.

Il loro incontro fortuito mette in moto una serie di eventi potenzialmente salvifici (o catastrofici…) per l’umanità: il club non è ciò che sembra e grande, troppo successo sta riscuotendo il dispositivo indossabile definitivo: l’Antennino Intelligente. “L’Umanità sta per perdere la sua umanità?” Pubblicità!

Le inquietudini si mescolano alle risate in questa miniserie tragi-com in 4 episodi molto “tragi” e molto “com”, per un binge-watching teatrale mai visto prima.

Ematica

Compagnia MalediMiele

presenta
Ematica

Di Larissa Cicetti
Regia Larissa Cicetti

Con Edoardo Camilletti, Chiara Palmitessa, Larissa Cicetti

Disegno luci Larissa Cicetti e Enrico Maria Carraro Moda
Assistente alla regia Enrico Maria, Carraro Moda

Sinossi
Che cos’è la coerenza, la spontaneità? Come si fa ad esprimersi liberamente senza restare feriti da un giudizio? E se l’empatia che hai sempre avuto per gli altri diventasse un problema? Se non volessi più essere empatica?
Tre figure, tre corpi, ma soprattutto tre voci di unica testa. Questo è il principio di Ematica.
Dubbi, insicurezze, speranze, tutto in un continuo fiume di parole, di voci che si contraddicono, che lottano per trovare un accordo, per unirsi almeno una volta. Per soffrire meno.
“Ho un disperato bisogno di dire qualcosa”
“Tutti vogliono dire qualcosa” Forse se si trovasse il modo di farlo, senza paura di rimanere feriti, magari, si potrebbe davvero dire qualcosa.

Effetto Paradiso

Compagnia Outliers

presenta
Effetto Paradiso
Di Ilaria Marcuccilli

Regia Ilaria Marcuccilli e William Caruso

Con Ilaria Marcuccilli e William Caruso

In scena Gli Ensemble Fracargio
Musiche Ensemble Fracargio

Scene Sara Pantoni e Martina Pantoni

Consulenza Scientifica Michele Montrone

Costumi Ilaria Marcuccilli e William Caruso

Disegno luci Ilaria Marcuccilli e William Caruso

Sinossi
Marito e moglie conducono una vita famigliare perfetta: tra buona salute e abbondanza, la realtà che li contiene è solida, benevola e, come un narratore invisibile, dialoga con loro superando le mura domestiche.
Nello scorrere di un tempo apparentemente uguale però, qualcosa compromette questa realtà perfetta. Non le risorse o il tempo, sempre sufficienti a soddisfare l’intera civiltà, ma i ruoli sociali.
L’identità a cui la coppia sembrava destinata, cambia nelle mani di una società ora estranea e violenta. Un’antagonista inafferrabile, che consuma inesorabilmente questi due esseri.
Vivi nel corpo e troppo presto deceduti nella loro umanità.

 

Due Schiaccianoci

Compagnia – Poveri Comuni Mortali

presenta
Due Schiaccianoci

Di Alice Bertini
Regia Alice Bertini
Carlotta Solidea Aronica

Con
Michele Breda, Federico Gatti
Scene Leonardo Barroccu
Disegno luci Marco D’Amelio
Comunicazione/Social Eduardo Rinaldi, Mattia Lauro
Organizzazione Valeria Iovino

Sinossi
Due guardie reali, immobili al loro posto, nonostante tanti, immutabili, anni di servizio.
Interagendo casualmente, scoprono impercettibili e progressive condivisioni fatte di passioni e interessi comuni, il jazz, ad esempio.
Decideranno di ribellarsi.
Progetteranno il giorno del loro colpo di stato, la migliore strategia per spodestare la “regina” e toglierle il diritto soverchio di scegliere per tutti. Un piano ineccepibile per “farla fuori”: schiacciarle il cuore e la mente proprio come sarebbe nella loro indole di Schiaccianoci nei confronti delle noci.
Ma ogni azione seppur minima, persino un piccolo tocco, cambierà gli equilibri e avrà delle conseguenze. Amare, oppure no.

ORESTE da Euripide

Compagnia RDA

Presenta
ORESTE da Euripide

Regia Dario Battaglia

Con
Antonio Bandiera, Alessandro Burzotta, Aurora Cimino, Marcello Gravina, Ivan Graziano, Francesca Piccolo

Assistente alla regia Salvo Pappalardo
Musiche originali di Gioacchino Balistreri

Sinossi
In questa versione alternativa del mito degli Atridi euripidea, Oreste vive le prime ore successive al matricidio da lui compiuto in uno stato di malessere psichico e fisico: nel momento preciso in cui le Erinni iniziano a fare capolino presso la sua coscienza, si dipana attorno a lui un intreccio familiare, sociale e politico degno delle moderne sceneggiature cinematografiche: per salvare la sua vita di reietto, spera nell’aiuto dello zio Menelao, il quale – dichiaratamente conservatore, come Tindaro – decide per la condanna a morte dei figli di Agamennone. Sarà lo slancio giovanile e rivoluzionario dei nostri protagonisti ad elaborare un piano in grado di poterli salvare

500 lire

Compagnia Di Parola
presenta

500 lire
di Ludovica Bei
Regia Josafat Vagni

con
Ludovica Bei
Josafat Vagni
Simone Giacinti
Francesco Giordano

Disegno luci, coreografie Josafat Vagni

Sinossi
Quattro amici si ritrovano in un vecchio stabilimento balneare abbandonato, quello che frequentavano da bambini, quello dove hanno fatto i migliori tornei di biliardino, i primi baci, le prime liti.
Ce la giochiamo a biliardino!” Diventa la risposta alle scelte che la vita presenta ai protagonisti, la cura per ogni incertezza.
500lire bastano per decidere sulla vita di qualcuno?

Un patto fra 4 bambini diventa paradigma della vita; una promessa che ci facciamo e che puntualmente non rispettiamo.

Premiazione Sezione Danza con Amedeo Amodio

Allievo della scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano e poi danzatore del Balletto scaligero, i suoi interessi non si limitano alla danza, ma a ogni forma d’arte, stimolato anche dalle esperienze vissute in un teatro che in quel periodo si avvaleva di collaborazioni di artisti di grande spessore, registi, direttori d’orchestra, cantanti, scenografi, coreografi, ballerini, attori. La curiosità di ampliare le sue esperienze

lo portano, all’età di 22 anni, a lasciare il Teatro alla Scala per iniziare la carriera di coreografo e ballerino da libero professionista e più tardi ad assumere la direzione artistica dell’allora nascente Aterballetto, la prima compagnia stabile di danza costituitasi al di fuori di un ente lirico, qualcosa di unico nel panorama della danza italiana. Per circa vent’anni, ad Amodio sono affidate le sorti dell’ensemble formato da ballerini solidi dal punto di vista tecnico, ricchi di espressività e capaci di essere interpreti raffinati di un repertorio vasto che porta la firma di grandi coreografi del ‘900, quali George Balanchine, Roland Petit, Antony Tudor, Léonide Massine, August Bournonville, Kenneth McMillan, Alvin Ailey, Glen Tetley, William Forsythe, Hans van Manen, Maurice Béjart, Micha van Hoecke, Jiří Kylian, Roland Petit, José Limón.

Per Aterballetto Amodio firma molte creazioni, alcune delle quali hanno visto la partecipazione di grandi interpreti come Elisabetta Terabust, Alessandra Ferri, Vladimir Derevjanko, Julio Bocca, Roberto Bolle, George Iancu, Alessandro Molin, Massimo Murru, Viviana Durante, Igor Yebra. La sua esperienza prestigiosa lo porta nel 1997 alla direzione del Corpo di Ballo dell’Opera di Roma – dove come danzatore in passato aveva vissuto un periodo fecondo di stimoli grazie all’incontro con Aurel Milloss – e nel 2003 del Teatro Massimo di Palermo. Coreografo ospite in molte Compagnie di balletto degli Enti Lirici in Italia e di Compagnie negli Stati Uniti, riceve numerosi premi nel corso della sua carriera sia come danzatore che come coreografo, ultimo dei quali nell’aprile 2015 il “Premio alla carriera” nella giornata Internazionale della danza, e nella stessa  giornata il Sindaco di Reggio Emilia gli consegna il “Primo Tricolore”, onorificenza che viene assegnata alle personalità che hanno dato lustro alla città.

Dal 2014 ad oggi i suoi lavori, Lo Schiaccianoci, Carmen  e  Coppelia, grazie a Daniele Cipriani che ne ha acquistato gli allestimenti dall’Aterballetto, con la Compagnia Daniele Cipriani Entertainement, hanno ripreso vita, riscuotendo un grande successo in tutti i grandi teatri italiani


“Ritratto di Amedeo”
di Italo Moscati

Se penso all’arte di Amedeo Amodio un’immagine, anzi soprattutto un nome, s’affaccia alla mente. Un nome, un nome-simbolo: quello di Ariel, il personaggio di William Shakespeare, un nome di origine ebraica che significa “Leone divino”. Leggero, elegante.
Già il significato del nome introduce una contraddizione: come può essere “Leone” e per giunta “divino” una figura che nella grande opera di Shakespeare possiede la magia del volo e lo spessore lieve, filosofico di una esistenza che richiama la folla dei personaggi della Tempesta a una tragedia con i piedi per terra?
Faccio una piccola premessa: i classici, per fortuna, ci aiutano a sollevarci dalle nostre inquietudini quotidiane e soprattutto dalle nostre visioni prive di saggezza e di futuro, oltre che di leggerezza. Quella di cui ha parlato anche Italo Calvino, la leggerezza che è nell’anima, che bisogna avere dentro. Del resto, non fu un caso se Amodio mise in scena United we dance a San Francisco in occasione del 50° anniversario dell’ONU, spettacolo ispirato alle famose Lezioni americane calviniane. I classici di ieri e di oggi. Basta un semplice rimando ad essi, per muovere i pensieri, agitare le emozioni, provocare idee e sentimenti.
Amedeo è dunque un “Ariel”. Fantasioso, pieno di grazia artistica e personale, capace di catturare il volo di farfalle meravigliose e farlo suo. “Leone” nella costanza e nella potenza inventiva. “Divino”, in moderno senso biblico, nella aspirazione di andare avanti, con il destino che non si ferma, che ci sovrasta e ci conduce dove vuole, e che sfidiamo sempre.
Ho conosciuto personalmente Amedeo quando sceneggiavo con Liliana Cavani Il portiere di notte e poi Al di là del bene e del male, una biografia reinventata ma molto attendibile di Friedrich Nietzsche e di Lou Andreas-Salomé e di Paul Rée (un “triangolo scandaloso”).
Amedeo vi compariva come attore, assolutamente seducente, ispiratore dei personaggi a lui affidati. E come coreografo. Scene indimenticabili. In un fatiscente albergo viennese, in un campo di concentramento nazista, in una livida mattina a piazza San Marco di Venezia. Lo avevo poi visto al lavoro sia come danzatore che come realizzatore di spettacoli. La conoscenza personale, le frequentazioni purtroppo saltuarie ma continue negli anni, gli scambi di opinioni, hanno accresciuto come spesso accade il mio interesse per una linea di sperimentazione instancabile e inquieta, compiuta alla Scala di Milano e all’Opera di Roma.
Da appassionato di danza mi sono fatto raccontare da Amedeo i suoi rapporti con i musicisti con cui ha lavorato (Luciano Berio, Sylvano Bussotti e tanti altri), scenografi e costumisti, pittori e scultori (Emanuele Luzzati, Maurizio Millenotti, Mario Ceroli, Piero Dorazio, Claudio Parmiggiani…), danzatori (Elisabetta Terabust, Julio Bocca, il grande e amatissimo Maurice Béjart, Alessandra Ferri…). Una sequenza di esperienze incredibili affrontate sempre, anche nel ricordo, con sensibilità e pudore. Ci siamo raccontati i musical che ci sono piaciuti e che compaiono spesso nelle tenebre televisive delle notti, illuminandole.
Che cosa ho capito e ricavato in tutti questi anni di attenzione, di confidenze, di approfondimenti, anni misurati sul desiderio di fare delle code insieme in nome dell’amore per la danza che diventa spettacolo e dello spettacolo che si esalta nella danza?
Ho scoperto l’assoluta disinvoltura spaziale della ricerca di Amedeo dentro e fuori il teatro, verso il cinema, verso la danza che trovava nel cinema (persino nelle immagini in movimento del muto) progettando continue possibilità di integrazione e sviluppo della creazione attraverso la danza.
Per uno come me – vicino alla musica, al teatro e al cinema – imbattermi in un artista che registrava tutte le forme estetiche in movimento, per comprenderle a fondo e riutilizzarle, ha significato ascoltare le lezioni di leggerezza dense di giudizi, riflessioni, stimoli, provocazioni capaci di trasformarsi in scena.
Prediligo gli spettacoli che mi obbligano a sapere quel che non so, a sentire quel che non so sentire, a vedere quel che mi scopre cieco. E, ogni volta, gli spettacoli di Amedeo suscitano in me una sensazione di stupore e di gratitudine.
Ho provato stupore quando negli anni Novanta, nello spazio Caracalla a Roma, ho assistito alla Cabiria di Amodio ispirata al mito che nel 1914, in pieno cinema muto, il regista Giovanni Pastrone aveva trasformato nel primo kolossal dell’arte allora diciannovenne, il cinema, partendo da poche pagine di Gabriele D’Annunzio.
Amodio conservava di quella storia, della leggenda e del film di Pastrone alcune suggestioni; ma ecco che il mio stupore si dilatò nella bella estiva notte romana per l’imprevisto gioco degli schermi diventati grandi lenzuola che danzavano insieme agli attori e ai danzatori; per il risuonare di tamburi e tamburelli che riempivano il muto della storia del cinema muto; per la sottile, eppure evidente, anzi potente capacità di calamitare emozioni senza strappi o violenze.
Era l’abilità del regista-coreografo a imbastire un flusso instancabile di trame visive, efficaci, raffinate, in un reticolo di soluzioni meravigliose.
Provai anche stupore per Lo Schiaccianoci che vidi qualche tempo dopo. In un teatro romano. Se il kolossal del muto era scomparso dietro lenzuola scese dal grande schermo, il lavoro di Pëtr Il’ič Čaikovskij mi apparve agitato dalla volontà riuscita di non fermarsi alle suggestioni già note, al piacere della musica e della rappresentazione. Non un richiamo al valore indiscutibile e noto dell’opera originaria. Non all’esito atteso per un appuntamento collaudato nel tempo e nel successo. Non una traccia in più aggiunta alle stratificazioni geologiche di rappresentazioni compiute e sovrapposte le une alle altre.
Vedevo un altro Schiaccianoci, quello di Amedeo, filtrato da un gusto della contemporaneità attinto da un intento desideroso di andare oltre le convenzioni più solide, e magari meritevoli, per proiettarsi in una combinazione armoniosa non priva di colpi di scena. I colpi di scena della grazia e della fantasia servite da una tecnica che non si mostra, si nasconde, non si compiace.
Amodio diede il volo al suo Schiaccianoci. Uno spettacolo di danza su un tappeto volante. Fatto di colpi d’ala, colori e movimenti. Una nuova pellicola inventata a teatro, senza Walt Disney. Stupore.

(Dal programma di sala de Lo Schiaccianoci al Teatro dell’Opera di Roma dicembre 2014)

Gabriele Lavia al Festival inDivenire

Gabriele Lavia
al Festival inDivenire

Vita e teatro/Teatro e vita

Conduce la serata
Giampiero Cicciò
direttore artistico del Festival inDivenire

 

Mercoledì 9 ottobre ore 21

Attore e regista tra i più rappresentativi e celebri della storia del teatro italiano, Gabriele Lavia esordisce sul palcoscenico nel 1963 e si fa notare in spettacoli come Edipo Re (Teatro alla Scala, 1969) e Re Lear (Piccolo Teatro di Milano, 1972), quest’ultimo per la regia di Giorgio Strehler. Debutta alla regia teatrale nel 1975, con Otello di Shakespeare. Il suo debutto cinematografico è in Metello del 1970 e nel 1983 dirige il suo primo lungometraggio, Principe di Homburg, con il quale vince il Nastro d’Argento come migliore regista esordiente.
È stato co-direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma (dal 1980 al 1987), direttore artistico del Teatro Stabile di Torino (dal 1997 al 2000), del festival Taormina Arte (nel 1993), del Teatro di Roma (2011-2014) e dal 2014 del Teatro della Pergola di Firenze.

BOLEROeuropa

Black Reality_ SemiVolanti

BOLEROeuropa
a cura di Gianluca Riggi, Riccardo Cananiello, Valerio Gatto Bonanni,
testi di Gianluca Riggi
Musiche Maurice Ravel
con Riccardo Cananiello, Boutros Geras Popov, Mohamed Kamara, Daouda Traorè

 

Progetto BOLERO

Il Bolero è una danza popolare di origine spagnola nata verso la fine del 1700, caratterizzata  da un ritmo netto ossessionante, spesso scandito da tamburi o da strumenti a percussione, il tempo è in ¾, e questo ne scandisce la sua origine probabilmente ben più lontana nel tempo come musica popolare della penisola iberica. Ravel con il suo Bolero nel 1928 realizza un capolavoro dove suono, musica, ritmo, in una ripetizione ossessiva per ben 19 volte, coinvolge e stravolge l’ascoltatore e lo spettatore, la coreografia originaria prevedeva una danzatrice su di una pedana, attorno un numero imprecisato di uomini che progressivamente con l’aumentare del ritmo e della strumentazione si fanno avanti per possedere la donna. Maurice Bejart nella sua coreagrafia sostituisce la donna con un uomo, è una danza ritmica, dove la parte inferiore del corpo con la ripetizione ossessiva del passo batte il tempo, e la parte superiore del corpo interpreta la grazia, ne è l’espressione, i danzatori sotto la pedana, uomini e donne, quasi divorano il danzatore al termine di un rito che sembra orgiastico.

Il progetto “Bolero” a cura di Gianluca Riggi, Valerio Bonanni parte da queste premesse musicali e visive, Riccardo Cananiello è il giovane danzatore ed interprete, bianco sulla pedana circolare, in un’alternanza di chiaro scuri visivi, interpreta l’Europa, sotto la pedana i migranti che vogliono entrare nell’Europa, vogliono viverla. L’Europa li ammalia prima e li respinge poi, ha necessità di uomini e donne giovani per ringiovanirsi lei stessa, ma poi li teme.  Riccardo Cananiello ne è l’interprete accompagnato da un gruppo di giovani migranti. I Migranti circondano la pedana, isola, il danzatore ne è oppresso, schiacciato, li attira e li respinge, danza e si muove con loro. Infine emerge l’umanità dei “viaggiatori”.
Il corpo conduce l’azione di ogni singolo interprete, la messa in scena lascia che siano i corpi a parlare a raccontarci delle storie. L’impatto visivo ed emotivo è forte e sempre vivo. Lo spettacolo pur nella sua rigida struttura, determinata dalla musica e dalle coreografie, si presenta con un processo in continua evoluzione in stretta connessione con il quotidiano.

Infine la fusione tra la maschera del Capitano (disegnata e realizzata da Ascanio Celestini) e la coreografia di Bejart è praticamente senza forzature, si rinforzano anzi vicendevolmente, e si completano.