a cura di Cesare Lievi
con Graziano Piazza
produzione Sycamore T Company
Un uomo è solo. Vende rose. La sera nei locali. È iracheno, di Bassora. È straniero: faccia strozzata in fondo alla gola, angelo nero che turba la trasparenza, traccia opaca, insondabile. Lo straniero ci abita : è la faccia nascosta della nostra identità. L’origine perduta, il radicamento impossibile, la memoria a perpendicolo, il presente in sospeso. Senza casa, egli propaga al contrario il paradosso dell’attore: moltiplicando le maschere non è mai del tutto vero né del tutto falso, giacché sa adattare agli amori e agli odi le antenne superficiali di un cuore di basalto. Lo straniero non ha sé. Giusto una sicurezza vuota, senza valore, che fa del suo essere costantemente altro, in balia degli altri e delle circostanze, l’asse delle sue possibilità. Io faccio ciò che si vuole da me, ma quello non è me – me è altrove, me non appartiene a nessuno, me non appartiene a me… me esiste?
Una lancinante e lucida accusa, questa di Robert Schneider (autore qualche anno fa di un meraviglioso romanzo “Le voci del mondo”, Einaudi). Un monologo in cui viene svelata una dinamica scarsamente indagata quando si parla di stranieri e diversi, “ …un insolito esempio di teatro civile” come scriveva G. Raboni “capace di coinvolgere lo spettatore con gli strumenti specifici dell’emozione estetica”: la dinamica di una società che invece di accusare se stessa non esita ad attribuire agli altri – a quelli che non le appartengono – la colpa della propria decadenza. Lui, l’extracomunitario, illegale, fuggito dalla guerra del golfo, lo straniero che vende rose, è Dreck (Rifiuto), che insozza e va lavato via, eliminato; è Sad, che in inglese vuol dire triste, ma lui non è triste.
Orario:
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